Allontanati
dall'occhio che vede, dal padre che sente il proprio figlio
distanziarsi e dalla madre morente.
Esseri
incoscienti delle proprie virtù, della vita assaggiata che permea dai
loro occhi, affannati nel tentar di prenderla, affogati nella nebbia.
Anime
sommerse dal fumo oscuramente scelto, piangenti bambine lontane.
Lontane
dai loro intrepidi cuori di bambino.
Pensieri
volanti, cacciatori affamati di verità.
Non
danzano più tra gli infiniti sguardi degli angeli, cadono come
foglie spezzate dai rami più alti dell'infinito.
Assaggiare
i passi nell'ombra, imparare da essi, gustarseli per poi rialzarsi.
Correre
se ci sarà da correre, non vi sono che musi addolorati per la
perdita del tempo.
Non
vi è tempo da rincorrere se si è in grado di controllarlo.
Troppe
cose bloccate nella testa, troppe cose da non fare, troppe cose da
fare.
Aprirsi
all'armonioso equilibrio, coglierlo in sé per illuminare anche gli
altri.
Guardare
lo specchio e voltarsi inorriditi, rivolere l'orgogliosa vincita, ma
perdersi nella ricerca delle domande fondamentalmente inutili.
Quell'egocentrismo
che ha portato a pensare di essere il centro della centralità,
assente nello spazio, ma dover ricercare la centralità reale, quella
assoluta nel punto uomo.
Perduti
i tempi in cui si rincorreva la bellezza come arte, la divina
contemplazione delle cose, il silenzio arcano, i passi felpati nelle
erbose vie.
La
mente mossa costantemente affinchè taccia gli elementi, così da
ucciderli piuttosto che padroneggiarli, scordarsi dei tempi antichi
in cui risplendevano i soli.
Fretta
di finire il non finibile, di rincorrere ciò che non si può
prendere.
Voler
padroneggiare qualcosa che ancora non si conosce, limitarsi nel
limitato spazio.
Attuare
la furbizia contro se stessi, uno contro l'altro, desiderare di
dividere l'indivisibile, andare contro le stesse leggi della
creazione prima.
Creare
le leggi per assicurarsi le totali assenze di rivolta, chiudersi in
gabbia, come schiavi, da se stessi e in se stessi.
Limitarsi
nelle parole, nelle arti, nelle emozioni, dare a tutto un nome,
intestarlo come vero, nonostante non si guardi oltre l'apparenza.
Sorgere
come soli spenti al mattino, calarsi nella notte negli oscuri panni e
addormentarsi la coscienza.
Dimenticarsi
di ciò che è indimenticabile, assaggiare ciò che non è
assaggiabile.
Divertirsi
del proprio tempo, invecchiare la terra fertile nutrendola con
carcasse di morte, supremazia del nulla se non si possiede il nucleo
di sé.
L'occhio
limitato non osserva, vede, non contempla, guarda.
Il
pensiero incentrato sul passato vive nel presente morto.
Il
tempo è prossimo alla prossimità dell'infinito.
Risvegliarsi
per essere liberi, per essere, per volare, per sperare, per sognare,
per riaccendere la fiamma del mondo.
Cogliere
questo per cogliere se stessi, per nutrire i propri frutti e vincere
l'oscura presa.
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